Il poeta e il musico: Intorno a Sebastiano Addamo e a Francesco Pennisi

di  Riccardo Insolia           


     Il tema di questa mia comunicazione è del tutto settoriale e limitato. Mi occuperò di una sola poesia di Sebastiano Addamo, di appena cinque versi, e per di più, da un punto d'osservazione del tutto particolare che deriva dalla mia attività di musicista. Cercherò cioè di illustrare brevemente come alcuni versi di Addamo si sono trasformati, ad opera del compositore Francesco Pennisi, in un pezzo di musica (per voce di soprano e sei strumenti) che il 20 dicembre 2000 è stato eseguito dal mio gruppo cameristico, L'Offerta Musicale Ensemble, in prima assoluta a Valverde (nel corso di un'iniziativa promossa dal Comune di Valverde e dalla casa editrice "Il Girasole" e dedicata appunto a Sebastiano Addamo e a Francesco Pennisi). Il volume di Addamo Le linee della mano, pubblicato nel 1990 nella prestigiosa collana di poesia dell' editore Garzanti, contiene una sezione di 18 liriche (o meglio di "prose poetiche") intitolata Farfalle (per alcuni dipinti di Domizio Mori). Si tratta appunto di "quasi prose", acuminate ed esatte, eleganti e crudeli, in cui la tensione estrema di un pensiero lucidissimo si tramuta in parola e immagine essenziale. Le farfalle di Addamo "irrompono vive e disperate, rovistano la testa come mani sottili" e ci conducono ad uno degli esiti più compiuti e convincenti della. sua ricerca poetica. La raccolta era stata scritta qualche anno prima, fra il gennaio e il febbraio del 1983, sollecitata da una mostra di dipinti del pittore Domizio Mori e fu pubblicata per la prima volta nel 1984 in un prezioso volume a tiratura limitata (220 copie) contenente riproduzioni di una serie dipinti di Domizio Mori. Il dedicatario, Domizio Mori, è una singolare figura di medico e pittore. Nato a Dosolo (Mantova) nel 1924, è stato dirigente in varie case farmaceutiche, direttore per un ventenni o della rivista «Rassegna Artistica-Culturale» della Fondazione Lorenzini (Milano-Houston), ha tenuto mostre personali di pittura in molte delle più importanti gallerie d'arte italiane e in una ventina di spazi istituzionali in tutto il mondo (Genes  La fase dello specchio) I fili di Arianna, Il cerchio della luce Cupole profane, sono i titoli di alcune fra le sue mostre più significative).

    La sua pittura, che aveva suscitato, fra altri, anche l'interesse di Dino Buzzati parte da una materialità tutta corporea, terrestre, biologica, che si è andata evolvendo negli anni fino a creare visioni di vivida luminosità: «La farfalla - ha scritto Giorgio Di Genova a proposito dei dipinti di Domizio Mori - è il transeunte, l'effimero, il bel sogno di vita che passa e si consuma in un soffio, è la natura che si imbelletta per far dimenticare che la [me è dietro l'angolo, è il double-face, in cui vita e morte, colori della gioia e neri luttuosi s'incontrano e convivono. Le farfalle di Mori sono le immagini più piene e complete del suo lirico visionarismo». Esse intercettarono il cuore della ricerca poetica e filosofica di Sebastiano Addamo, s'incontrarono con quella dialettica per cui l'essere si manifesta soltanto nell' apparire, e nel momento stesso in cui si manifesta come apparenza, è già ombra, annuncia la sua estinzione. («Non hanno ossa. Sono totali e scismatiche [...] - scrive Addamo nella settima poesia della raccolta - Il loro essere si manifesta nell' apparire, nella trasparenza maniacale delle membrane». E nella tredicesima: «La loro morte è una questione di principio [...] l' annientamento è la loro realtà, la suprema semplice didattica che nascondono». Lo scrittore inserì poi Farfalle (con significative varianti) nella silloge garzantiana citata.  Quando, circa due anni fa, chiesi a Francesco Pennisi un pezzo per il mio gruppo cameristico, a causa uno di quei meccanismi della memoria che sono in gran parte incontrollabili, riaffiorarono alla mente queste Farfalle, che avevo letto anni prima, e dimenticato. Pensai che Pennisi poteva musicare proprio questo e non altri testi di Addamo. Forse, semplicemente, volevo un pezzo di musica su un testo di Addamo per Addamo stesso che era già gravemente ammalato, come omaggio all'amico e al poeta. Speravo, forse mi illudevo, che questo potesse essere un modo per raggiungerlo nell' isolamento che la malattia gli ( e ci) imponeva.  Francesco Pennisi, l'altro protagonista di questa singolare vicenda creativa al quale mi legava un identico rapporto di amicizia, anch' egli siciliano (nato ad Acireale nel febbraio del 1934), è stato un compositore che ha occupato un posto appartato ma assolutamente singolare nella cultura della seconda metà del Novecento italiano. Egli si era formato a Roma ove aveva avuto modo di studiare con il musicista americano Robert Mann (a sua volta allievo di Gofflredo Petrassi).

    Nell'opera di questo artista raffinato e colto, umanissimo e affabile, i segni della scrittura musicale, di, quella letteraria e di quella grafico-pittorica s'erano intrecciati con un' originalità forse senza precedenti nel panorama culturale italiano.Era l'artista giusto per l'omaggio che desideravo realizzare. Egli inoltre conosceva già altre pagine di Addamo: aveva letto la sua ultima raccolta poetica, Alternative di memoria (Milano, Scheiwiller, 1995) e il volume Piccoli dei (Valverde, Il Girasole Edizioni, 1994) grazie anche al rapporto con l'editore e poeta Angelo Scandurra che era amico di entrambi.  Inviai a Francesco Pennisi una copia dell'intera sezione proponendogli di musicare alcune delle diciotto poesie; lui scelse le prime tre. Pennisi, sicuramente uno dei maggiori compositori della sua generazione, aveva spesso lavorato da musicista su testi poetici, di Eugenio Montale, di Lucio Piccolo, di Vincenzo Consolo, di Alda Merini, ma anche di Tasso, Gorigora e Foscolo, di Virgilio e Ovidio, di Baudelaire e Pound ed era lui stesso scrittore finissimo e pittore capace di creare atmosfere impalpabili, di lavorare col nulla, così come nella musica era capace di creare gioielli sonori che sembravano risuonare sospesi nello spazio. Nel gennaio del 2000 m'inviò la partitura intitolata Faifalle su testi di Sebastiano Addamo per voce di soprano e sei strumenti (flauto, clarinetto, violino, viola, violoncello e pianoforte), con dedica del primo pezzo, completo, accompagnata da un biglietto in cui c'era scritto: «. . . tanto per cominciare», alludendo al fatto che si trattava di un progetto compositivo più vasto comprendente appunto tre liriche. Pensava di disporre i testi di Addamo all'interno di un tessuto musicale quasi ininterrotto, «un continuum - mi disse - nel quale delle finestre si aprono all'improvviso». Egli aveva appena subito un difficile intervento chirurgico e aveva desiderio, lasciato l'ospedale, di tornare al suo laboratorio di gemme sonore. Purtroppo non gli fu possibile proseguire. Il male che lo aveva colpito riprese ad agire, inesorabile. Pennisi riteneva la partitura di Farfalle non del tutto definitiva, anzi ancora bisognosa di ritocchi e verifiche, tuttavia, negli ultimi colloqui telefonici verso la fine del settembre 2000, mi autorizzò a curane l'esecuzione.

Sebastiano Addamo e Francesco Pennisi non si conoscevano personalmente, non si erano mai incontrati, nessuno dei due poté mai ascoltare il frutto di questa estrema e silenziosa cooperazione a distanza: cioè l’esecuzione del pezzo. Il musicista è morto nell'ottobre del 2000, appena tre mesi dopo la scomparsa dello scrittore (luglio 2000).

Riporto qui, per completezza, le prime tre sezioni del testo di Sebastiano Addamo che Pennisi intendeva utilizzare:

1.

Anzitutto le trovi d'improvviso, sembrano allegre.

Salgono dal basso, da qualche parte, dal lato oscuro.

L'inclemenza del giorno a volte le mette in fuga, d'in-

verno spariscono. Folle flora animata. Le grandi ale

già cautamente annunciano l'ombra che sono.

 

2. . Sono multiple e dialettiche. Il fuoco fatuo, il lampo

azzurro e fulmineo della notte. Ciò che passa.

Il fiore più alto è il più maturo, il più bello. Il più

mortale.

 

3.

In fondo non puoi ignorarle. Seriche folate sorvolano

il giorno, l'arcobaleno. Irrompono vive e disperate.

Rovistano la testa come mani sottili.

 

     Egli ha potuto lavorare, come si è detto, solo sulla prima di queste inquiete ed inquietanti "farfalle".

Ma come operava il compositore quando aveva davanti asé un testo che doveva. trasformare in musica?

Per testimonianza diretta so che innanzi tutto lo scriveva più e più volte, lo memorizzava, perseguendo un complesso processo di interiorizzazione. Infine lo ri-scriveva, in qualche modo anche impercettibilmente intervenendo sulla struttura originaria

Nella "quasi prosa" di Addamo non c'è nessuna volontà di dichiarare un metro (addirittura si va accapo: «d'in-/verno»). Le parole sembrano volutamente riempire lo spazio definito e regolare di una tela rettangolare. Pennisi, invece, nella prima pagina della partitura inviatami, riporta il testo manoscritto e cesellato con la sua consueta elegante grafia-in maniera lievissimamente diversa.

 Nella riscrittura pennisiana i versi di Addamo hanno questa diversa disposizione:

Anzitutto le trovi d'improvviso, sembrano allegre. .

Salgono dal basso, da qualche parte, dal lato oscuro.          

 L'inclemenza del giorno a volte le mette in fuga, d'inverno spariscono.

 Folle flora animata.

Le grandi ali [sic] già cautamente annunciano l'ombra che sono.

     Mi sembra evidente la dissimile e volutamente più netta pausazione che risulta dalla nuova ripartizione dei versi sulla pagina (non più cinque, ma sei) rispetto al testo di Addamo. La poesia viene segmentata in due parti fra loro asimmetriche.    Certo uno dei principali problemi che il compositore si pone, utilizzando dei versi in una composizione musicale, è quello relativo ad un'operazione di dilatazione nel tempo e del tempo. La semplice lettura del testo dura circa trenta secondi, mentre il pur breve pezzo di musica composto da Pennisi dura oltre due minuti e trenta secondi: un intervento quindi di dilatazione temporale che comporta un lavoro in rapporto al testo e problemi di strutturazione formale complessiva. Come ha risolto Pennisi questi problemi? Innanzi tutto dividendo il testo poetico in due parti: una formata da quattro versi, l'altra di due. Poi articolando l'intero pezzo musicale in tre sezioni: una prima sezione di 12 misure (nella quale intervengono solo gli strumenti con un movimento iniziale complessivamente ascendente, dalle n10rbide figurazioni degli archi fino all'ingresso del pianoforte e poi del flauto); questa parte finisce su una pausa con un punto coronato per l'intero organico; una seconda sezione di 19 misure (voce e strumenti), corrispondente alla più ampia delle due porzioni di testo (da «Anzitutto le trovi» a «d'inverno spariscono»); anche questo segmento conduce a un punto coronato (seguito da una misura di raccordo con la sezione successiva);  sezione conclusiva di altre 12 misure (voce e strumenti), contenente la porzione di testo più breve da «Folle flora animata» a «l'ombra che sono» (lasciando alla fine il pianoforte solo che sfuma "in rallentando" nella ripetizione di due suoni).            .

     Quindi il pezzo ha uno schema formato da 12 - 19 - 12 misure. (Si tratta di. battute regolari di tre quarti, ad eccezione di una di quattro nella prima parte e di una di sette che conclude la composizione). Insisto su questi numeri perché pur essendo evidente una struttura tripartita non si tratta tuttavia di una forma A - B - A. Qui mi permetto di formulare un'ipotesi: Pennisi ha scritto le sue Farfalle (e ri-scritto i versi di Addamo) ponendone i vari segmenti in rapporto di proporzione aurea. La sezione aurea è un rapporto per cui, detto b il segmento maggiore fra due segmenti a e b, a sta a b come b sta ad a + b. Si tratta di un rapporto matematico che Luca Pacioli (De divina proportione, 1496) e i trattatisti del Rinascimento consideravano la proporzione appunto «divina», rintracciabile anche nella figura umana, nel mondo della natura (ad esempio in una foglia di edera) e in quello dell'arte. Questo identico principio è consapevolmente utilizzato come meccanismo di progettazione artistica ed è al centro della ricerca di un architetto come Le Corbusier o di un compositore come Bartòk. Proprio il modulo di Le Corbusier, sviluppato fra il 1942 e il 1948, è un sistema proporzionale di rapporti armonici basato sulla figura umana e applicato alla progettazione ambientale in grado di produrre, con segmenti asimmetrici, un risultato di intima armonia strutturale. In musica rapporti di sezione aurea sono stati rilevati e studiati in compositori di epoca rinascimentale e barocca (come Machault; Dufay, Obrecht, Desprès, Fux e Bach), del periodo classico (Mozart, Beethoven), romantico (Chopin, Schubert) e poi ancora in Debussy, Bart6k, Xenaki§, Stock. hausen e via dicendo. Sembra essere quindi una costante dei processi compositivi relativi all'organizzazione del tempo musicale. Ritengo di poter affermare che Pennisi ha risolto i problemi formali che aveva di fronte segmentando il testo in modo diverso rispetto alla originaria stesura di Addamo, e disponendo testo e struttura musicale mediante _ rapporto di sezione aurea particolarissimo. Si è detto che l'articolazione del pezzo è di 12 - 19 - 12 misure. Questi numeri hanno a che vedere con la "divina proporzione" cui si è accennato: infatti la prima sezione (di 12) sta in rapporto di sezione aurea con la seconda (di 19) e la successiva (di 12) è in rapporto di sezione aurea con la precedente; insomma la sezione centrale è in rapporto di' sezione aurea con le due sezioni laterali,creando quindi un risultato di complessiva simmetria. Come fosse il corpo fra le due ali di una farfalla. Con ciò non voglio affermare che necessariamente Pennisi ha seguito consapevolmente uno schema organizzato sulla base della sezione aurea, ma che questa è la struttura che mi sembra di poter oggettivamente individuare e che forse la stessa suggestione della parola "farfalle" ha contribuito a generare (le parole della poesia a volte agiscono e svolgono in profondità il proprio lavoro). L'operazione necessaria per verificare un rapporto di sezione aurea nel caso in questione è 12: 19 = 19:31 [a:b = b:(a+b)]. Il risultato è tollerabilmente accettabile nell' ambito di analisi basate sulla sezione aurea in musica, infatti il rapporto puramente matematico imporrebbe un risultato pari a 0,618 033 988 mentre i rapporti di cui sopra valgono rispettivamente 0,632 e 0,613. Sarebbe sufficiente un quarto di misura in meno nella prima parte perché la sezione aurea fosse matematicamente esatta. Di fatto se si osservano le misure 12 - 13 ([me della prima sezione, e inizio in levare della successiva) e 32 - 33 (fine della seconda sezione e inizio in levare della terza), la tollerabile "inesattezza" del puro calcolo corrisponde alla realtà della scrittura musicale.Il testo è stato disposto all'interno della seconda e della terza sezione operando dei madrigalismi su alcune parole chiave della poesia. Pennisi individua per i madrigalismi le parole di vitalità e di movimento: quattro nel primo e più esteso segmento poetico «<improvviso», «allegre», «giorno», «spariscono») e due nel secondo «animata», «sono»). Queste appunto le parole cui corrisponde un procedimento di dilatazione melodica mediante madrigalismo. Ciò appare significativamente simmetrico rispetto alla segmentazione del testo in precedenza descritta. Ma nella musica non c'è solo un "prima" e un "dopo", come nella recitazione, c'è anche un "sopra" e un "sotto" cioè una dimensione della verticalità sonora e c'è anche la possibilità di creare un sistema di echi assai più ampio. Così, in modo coerente, dopo ciascun madrigalismo relativo alle parole citate, avviene una riverberazione strumentale, come in un sistema di specchi, ove rimbalzano improvvise accensioni luminose degli strumenti (soprattutto di registro acuto: flauto, violino, clarinetto). Queste riverberazioni sono dilatate, ma non sempre rigorosamente, in tre misure (in alcuni casi sono più strette). Sono dilatate quelle dopo le parole «improvviso», «spariscono» (relative al primo segmento di testo poetico) e «animata» (relativa al secondo), mantenendo anche in ciò un sistema di proporzioni analogo a quello derivante dalla segmentazione complessiva della poesia.

Faccio infine una breve elencazione delle "figure", nel senso di gesti sonori e microstrutture musicali, che Pennisi adopera lavorando sul testo di Addamo: è ricorrente la terzina (che per sua natura è figura ritmico-melodica portatrice di fluidità), troviamo gruppi di suoni molto rapidi che procedono verso l'acuto, tremoli (alternarsi stretto di due suoni soprattutto negli archi). Pur senza ricorrere quindi ad alcuna soluzione di tipo impressionistico la «folle flora animata» del testo di Addamo è ricreata e totalmente risolta nella scrittura musicale pennisiana. Sono presenti ancora figure melodiche che si aprono a ventaglio dal grave all'acuto, dal semitono verso intervalli più ampi.  Come farfalle alcune di esse «salgono dal basso», altre sembrano oscillare e librarsi attorno ad un perno, ad una corda di recita (cioè attorno ad un suono centrale di riferimento). Il tutto con dinamiche lievissime (spesso in ppp) che raramente sfiorano il mezzo forte e con un uso dell' organico strumentale che evita la densità a favore della trasparenza, mediante un raffinato gioco di organizzazione dei vuoti (pause), mentre a volte la parti si allineano in un limpido andamento omoritmico (fra flauto e clarinetto e fra i tre archi). In conclusione, un'ultima osservazione. Gli intervalli che definiscono glie stremi del pezzo (il primo intervallo della composizione e l 'ultimo) sono dei tritoni:

Do - Fa diesis all'inizio e Mi bemolle - La alla fine. Si tratta di rapporti intervallari formati da tre toni interi che la trattatistica antica considerava "diabolici" (il tritono era «diabolus in musica»). Proprio gli stessi intervalli (è un esito inconsapevole della memoria?) con cui s'apre Noctuelles [Farfalle notturne] di Maurice Ravel: Sol bemolle - Do alla mano sinistra del pianoforte e La - Mi bemolle alla destra. Sono ormai rapporti sonori del tutto consueti nella scrittura musicale novecentesca e contemporanea. Tuttavia l'antica suggestione sembra ancora operante: anche nella musica di Pennisi le "farfalle", pur nella loro "divina proporzione", come già nelle vivide visioni di Mori e nelle ."vitree" parole di Addamo, vengono dal «lato oscuro» ad annunciare «cautamente» - splendide inquietanti ed effimere - la fine.


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