Antologia della critica
(opera di Luigi Dugo) a cura di Maria Paola Fisauli - Tea Ranno - INTERVISTA
Violetta
Violetta, Mondadori, Milano, 1963 Mario Lunetta, "Paese Sera", Roma, 24-5-1963 Le abitudini e l'assenza
Enzo
Siciliano,
"Il
corriere della sera", Milano, 2-1-1983 "Mi chiedo perché si è taciuto, in questo anno, con singolare pertinacia di un libro, un racconto lungo stampato da Sellerio, la cui scabra nudità di stile mi sembra esemplare, Le abitudini e l'assenza di Sebastiano Addamo. Il racconto di Addamo, una memoria per la madre morta, un racconto che ci conduce con intelligenza acutissima dei sentimenti, in una Sicilia del tutto sconosciuta, pare "l'osso di seppia” di un mondo che ancora riesce a esprimere poesia, letteratura. Basterebbe rimanere ad esso per far tacere la nenia sconfortante di chi teorizza la negazione di ogni forma espressiva. Palinsesti borghesi
Palinsesti
borghesi,
Scheiwiller,
Milano, 1987.
Gina Lagorio, 'I'Unità", Milano, 17-2-1988 "Conosco Addamo da molti anni; lo conosco sulle pagine, intendo, e qualche volta l’ho incontrato, ma così poche e così avare di parole che proprio non potrei parlare d'amicizia. Eppure, se mi ritrovo a leggerlo, la sua faccia contratta di uomo schivo e risentito da siciliano mite e feroce la mitezza è nella consapevolezza critica del comune destino, la ferocia nel non rassegnarvisi fino all'ultimo respiro mi è di fronte come se invece di leggerlo,scambiassimo pensieri. Mi è accaduto per le opere di narrativa, per quelle di critica, per le poesie. Ora questo libretto, elegante e denso com'è costume dell’editore che lo ha pubblicato, Vanni Scheiwiller, mi ha riproposto un incontro con l'Addamo che più intenso e ricco, nella narrativa di oggi, non ne ricordo da tempo. Si tratta di un trittico con ambiente e tema comuni; i protagonisti sono tre perché tre sono i racconti, il tema è la morte, l'ambiente Catania. La via Etnea, le vetrine dove donne e uomini specchiano i loro desideri repressi, le chiacchiere di caffè, lo splendore dei tramonti, i giardini odorosi di zagara, tutto questo è lo sfondo su cui si muovono i corpi legati alle eredità biologiche storiche e geografiche della terra siciliana, ma anche lo sfondo sontuoso e sensuoso dove le virtù e i vizi di quei corpi, i pensieri fantastici e il serrato argomentare, si proiettano all’infinito per ritornare su di sé nella sequenza dei giorni, catena greve e insuperabile di rare allegrie e di cupe tristezze. Il giudizio della sera
Il giudizio della sera, Garzanti, Milano, 1974
Giovanni
Raboni, Un romanzo non alla moda, "Quaderni
piacentini", n.55, maggio 1975 'Può sembrare strano... che tra i romanzi italiani usciti nei primi mesi del '75 il più notevole, o perlomeno uno dei più notevoli, sia proprio il meno lanciato, il meno recensito, il metto strombazzato di tutti: mi riferisco a Il giudizio della sera di Sebastiano Addamo... Intenti e tonalità appaiono controllati pagina per pagina, dalla ragione - da una coscienza chiara capace di schivare sia le trappole della memoria... sia i labirinti dell'amplificazione allegorica... e di portare il passato a misura del presente per affrontarlo, giudicarlo, respingerlo. Indignazione senza sarcasmo, rievocazione senza nostalgia, interrogazione senza mistero: il libro di Addamo è un libro serio, molto serio...'
Antonio Corsaro, 'Il Giornale", Milano, 13-5-1975 "Addamo non è solo uno che ricorda, solo un testimone: il ricordo diventa deformazione, amplificazione barocca ed espressionistica... Ma di ogni libro resta un'immagine, e quella che ci trasmette Il giudizio della sera è l'immagine di una Catania perduta ne dedalo dei suoi vicoli rigurgitanti di prostitute ... Ma in Addamo c'è anche,annidato un moralista... Di mitologia c'è forse una traccia nella chiusa del romanzo ... finisce il mondo dei padri - che certo. non era un bel mondo - e comincia quella del "Parricidio”. Ma su quest'altro mondo il giudizio spetta ai posteri..."
Antonio
Corsaro,
"La
Sicilia", Catania, 13-5-1975 "Il giudizio della sera, come dire la conoscenza che si raggiunge alla fine del giorno o al termine di una esperienza... Addamo è uno scrittore moralista nel senso avuto a partire dal Seicento francese... Su questo mondo ... Addamo stende una tonalità fatta di assenza e di definitivo distacco... Chi volesse capire come liberarsi da un meridionalismo che ha tutta l'aria di essere solo provinciale, farebbe bene a leggere questo suo “Giudizio”.
Luigi Surdich,
"Il secolo
XIX", Genova, 2-3-1975 "Il romanzo si muove su due piani strettamente collegati... Ne escono figurazioni di particolare violenza espressiva: l'orrore della guerra si prospetta nei termini del disumano, dell'imbestialimento dell'uomo'.
Giancarlo Volpato,
'11
giornale di Vicenza", 20-3-1975 "Uno spaccato, sicuramente inedito, d'un'epoca che molti hanno vissuto, ma che pochi probabilmente hanno rivissuto... Addamo si estranea, talvolta assume le vesti dello storico, del moralista, ne escono delle testimonianze indignate, viscerale e ironiche, dove lo scetticismo e la personale partecipazione non si disgiungono mai da giudizi perentori e violenti, sorretti quasi sempre da una volontà di affondare nelle piaghe storiche dei suoi contemporanei”.
Vincenzo Consolo,
"L'Ora",
Palermo, 21-2-1975 "Quello di Addamo è un libro concettuale. In questo la novità e modernità del romanzo.
Franco Manescalchi,
"L'Unità",
Milano, 1-5-1975 "Lo stile narrativo di Addamo è senz’altro interessante: il connettivo è senz'altro realistico, ma è reso sapido, scattante, da frequenti intarsi satirici, da descrizioni socio-economiche oggettive al limite della saggistica... Così, in un tessuto ricco di riflessioni e meditazioni Addamo giunge a definire la condizione meridionale negli anni quaranta, l'aberrazione fascista, la disperata prospettiva dei tempi di guerra e dissoluzione”.
Walter
Mauro, 'Il popolo", Roma, 4-4-1975
"Il romanzo di Sebastiano Addamo, certamente una delle opere di
punta
dell'attuale stagione, amara
storia di un'educazione sentimentale realizzata attraverso
la scoperta della realtà dentro la Sicilia”.
Salvatore Nigro, 'Paese Sera", Roma, 2-4-1975 "Il salto tra Violetta e questo romanzo è misurato dallo sforzo di superare la 'letteratura' nella dimensione di un saggio moralistico: è la sperimentazione di un tipo di racconto-saggio che conclude all'autobiografia critica di uno scrittore e di un intellettuale meridionale... La struttura narrativa diventa un labirinto che si stringe attorno a un minotauro tragicomico e grottesco: il fascismo come mostro sociale, mitologia stracciona, mercificazione, discesa agli inferi,fenomeno epidemico che focalizza oscenamente la città. Permangono nel romanzo la bernanosíana consistenza di realismo e visionario e la originale fenomenologia di una malattia collettiva... Ma questo nucleo letterario è continuamente violentato da Addamo che su di esso costruisce il labirinto saggistico ... Addamo scende con rabbia e violenza di linguaggio, nella storia sua e di una generazione.. Davanti ad Addamo c'è un atto di fede nella parola”.
Un uomo fidato
Un uomo fidato, Carzanti, Milano, 1978 Leonardo Sciascia, in "Nero su Nero”, Einaudi, Torino 1979, pp.213-14 "Un piccolo impiegato - personaggio su cui consapevolmente stinge la profonda e congeniale affezione dell'autore ai grandi scrittori russi - è la storia di Un uomo fidato: il capo dell'ufficio in cui lavora, a vederlo arrivare con "l'Unità' in tasca, muta rapidamente di umore nei suoi confronti: dalla confidenza passa alla diffidenza... L'impiegato rinuncia all'Unità, arriva ad iscriversi alla Democrazia Cristiana. Ma un giorno accade un fatto paragonabile, nella vita dell’impiegato Marco Trigillo, a un terremoto: un fatto di cui per ottanta pagine si registrano gli effetti lasciando il lettore nella suspence di conoscerlo. A pagina ottanta la tremenda rivelazione che alla prima pagina aveva fatto vacillare il mondo di Trigillo: il dottor Fotí, suo capo, era divenuto lettore de 'L'Unità”.
Rosario Contarino,
"Un
uomo fidato" di Sebastiano Addamo tra quotidiano e serietà
tragica, in "Narratori siciliani del secondo dopoguerra",
Catania, 1990
"La Catania del romanzo non è più il labirinto fremente e melmoso
de Il
giudizio della sera, dove
sgorgavano erratiche irrequietezza adolescenziali, ma una città moderna "spaventosamente grande e orrída”, una
megalopoli burocratica e terziarizzata, costituita da inospitali e poco
identificabili periferie urbane.
Personaggio “senza centro” e perciò contraddittorio nel suo
oscillare tra
rassegnazione e rivolta, Marco
Trigillo si colloca nella schiera degli eroi i esistenziali
forse meglio che in quella
degli eroi 'sociali'. Se,
usando le stesse categorie
critiche di Addamo, lo si volesse sistemare in una traduzione narrativa,
egli forse troverebbe posto in quella letteratura della 'disperazione'
discesa dal pensiero di
Kierkegaard e passata attraverso i castelli di Kqfka o il mito di Camus, piuttosto che nella letteratura della speranza con i suoi
scontati esiti
neorealistici..."
Marco Trigillo, con il suo essere esclusivamente 'ormai al di là di
tutte le
speranze, è personaggio in cui il
dramma esistenziale non è un meccanico riflesso
della crisi delle ideologie, ma una dimensione della coscienza
disperata".
La metafora dietro a noi
La metafora dietro a noi, Edizioni Spirali, Milano, 1980
Dario
Spera, "Rassegna artistica-culturale", Milano,
1980 "La professione di cinismo, a sventolare sul più alto pennone dell’ideologia e poi quando viene un tramonto la struggente tristezza per splendori buttati via, per le nostre vite giorno per giorno inesorabilmente sbagliate... Ecco poche pagine che spazzano via la radicata riserva post avventura pascoliatla”.
Leonardo
Sciascia,
dalla
"Prefazione"
"Addamo qui sembra si sia inventata la strada della condensazione e
della
essenzializzazione, per un
discorso che, pur preciso di intenzioni, assegna il
proprio
specifico molto meno alla analisi e molto più alla concisione
dell'immagine; dunque basandosi sul doppio registro della densità e
della dilatazione, di una
costrizione che non esclude ma implica inevitabile trasgressione, che è
poi quanto icasticamente René
Char chiama «oritie insorto». E Retié Char assieme
a
Michaux credo vadano inclusi tra i referenti concomitanti di Addamo;
assieme ad Heidegger la cui
presenza maggiormente si rivela nella seconda
parte
del libro. Ma un Heidegger
di cui Addamo certamente vive (e subisce)
implacabile
suggestione, insieme rifiutandola, operandone un ribaltamento.
Un
Heídeggerdunque rivisitato e però doppiato e rovesciato, condotto
all'esserci più che all'Essere...
E'
questa l'antinomia che percorre il libro: la mancanza
di
fede nella parola e lo scrivere; la parola necessaria e l’introvabilità
di essa; la parola e il
silenzio. E i singoli
brani, o poèmes, sembrano difatti emergere tra
luoghi
di silenzio, la parola attraversare echi remoti, eco essa medesima; un
presente appena come tale
avvertito e già declina la morte, o, che è lo stesso,
intravedere
una lontananza che resta oltre i margini del sensibile, al di là di
ogni attesa...
La condizione di pessimismo che però emerge ha connotazioni
inequivoche,
non solo configurata dalla preferenza accordata a certi termini:
orrore,
esodo, obliquo... ma pure per
le immagini notturne che appaiono più
nette,
più ripetute e meticolose rispetto alle immagini diurne...
"La seconda parte che Addamo, forse pensando a Claudel, intitola
Proposizioni, porta a risultati certamente estremi le sue impostazioni
formali e
intellettuali, ed esse mantengono
l'ambiguità dell'immagine e la secca
perentorietà
dell'aforisma...
In definitiva, un libro quasi
anomalo nel panorama dell'attuale
poesia italiana, di deliberata
disperata
contraddittorietà... Il rapporto
assillante e non composto non componibile di senso e parola, di
razionalità
e simbolo; insomma, tra ragioni della poesia e poesia della ragione”.
Il giro della vite
Il giro della vite, Garzanti, Milano, 1983
Donatella
Bisutti, in "Rivista milanese di economia",
ottobre-dicembre 1985 "Nei paesaggi di Sebastiano Addamo si susseguono tramonti e albe, eventi che evocano l'eterna rotazione della terra, nw in cui la vita sembra riproporsi solo per passare da un sonno ad un altro sonno: metafora che racchiude tutte le altre in una più ampia desolazione, il paesaggio è costruito attraverso una serie di segni non metafisici ma esistenziali, volti a proiettare all'esterno una soggettività allucinata... Dei sogni e degli incubi la realtà ha esattamente la stessa dimensione ovattata, la stessa assurda assenza di peso, la stessa sproporzione tra distanza e suono... Tuttavia 'sarà sempre un poeta a dichiarare la fine della poesia come dice lo stesso Addamo: se le parole non riescono a suggerire un senso, sono almeno un'affermazione di esistenza, segnacolo opposto al nulla, dolmen nella radura sterminata... Apparentemente anomala rispetto alla tradizione siciliana e proiettata si direbbe piuttosto verso un espressionismo nordico, in essa si manifesta, così sotterranea da passare inavvertita, una dimensione arcaica, una nostalgia di grecità che ne fa alla fine una singolare mosira di realismo deformante e di classicità
Leonardo
R. Patanè,
in
"Operai di sogni" (La poesia del Novecento in Sicilia),
Randazzo, 1984
"Con Addamo sembra compiersi l'itinerario della poesia
...
dal mondo naturale al mondo morale ... Nel Giro della vite, in questa stagione matura della sua arte
che rifiuta vecchi sperimentalismi gratuiti... di
poesia ce n'è tanta. Testimone
egli è come ogni vero poeta, un testimone scomodo.
La sua testimonianza non lascia solo inquietudine, si fa a
tratti, di una lucidità ossessiva, sconvolgente:
ed è a questo punto che la poesia comincia a vivere pienamente, si fa
poesis, diventa poien, facitrice e trasformatrice di voleri umani, non
mera preghiera e contemplazione. A tutto questo Addamo attinge con decisione conquistando insieme una esemplare misura comunicativa, insieme trasparentemente metaforica e discorsiva e persino aperta a modulazioni e variazioni di canto, segno anche di una conquistata sapienza stilistica che riprende e svolge in modi persuasivamente personali ed originali le strutture del linguaggio poetico postmontaliano per il quale traccia una precisa linea di crescita e di evoluzione...'.
Caetano Compagnino, in "Cabala e pietre nere", Randazzo, 1990
"Come
ogni libro di poesia negli ultimi due secoli, anche Il giro della vite
di Sebastiano Addamo è una
meditazione sul destino della poesia nel tempo storico della
modernità... Che assume
costantemente i tratti di una condizione in definitiva
ostile alla poesia ... Ne II
giro della vite a simbolo della modernità, delle inumane forme di vita che la caratterizzano è assunta la metropoli: lo
spazio urbano si rivela come
il luogo proprio dell'incubo, d'uti incubo macabro che ferma minacciosamente il flusso della vita...'.
Abitata dalla morte che vi accoglie ospiti precari e minacciosi, uomini
degradati a oggetti (fameliche sorridono facce come oggetti), la città
è un 'vuoto', orrido e
ostile, in cui anonima e animalesca domina incontrastata la violenza e il sangue ("L'incubo, l'eco', p.57)...'.
"Nulla è garantito ormai, desinenze e cifrari perduti, codici
gualciti nelle
fedeli case del sonno
("Solstizio barocco, p.23) ... Noti
ci sono guide, né maestri...
se non quanti nella presunzione
d'essere l'una cosa o l'altra fondano un'ambizione
di dominio...'.
E'
la condizione metropolitana il punto d'avvio di Addamo: nell'innocenza
di strade frenetiche, i rumori, 'nel fosco colore dell'eclisse'.
Appunto la condizione metropolitana definisce qui la relazione, nuova rispetto alla
tradizione filosofica cui l'autore si riferisce, fra istante e il tempo...
E tuttavia: la bipartizione sarebbe solo apparentemente oppositiva, se il secondo
momento di essa non si
proponesse come, in sé, rovesciamento metropolitano, di ciò che precisamente, in quella tradizione filosofica cui prima si alludeva,
vale a dire come antitesi del
primo. Cioè del tempo” "Eppure, è questa la morte della poesia? In ogni caso, ciò di cui si tratta è una morte che solo la poesia può dire adeguatamente..., nell'epoca in cui non c'è spazio per la poesia,... sopravvivono comunque alcuni cui è dato tentare di ricomporre, promessa di un'altra età cui, di nuovo, inerisca la misura, una forma e un ordine
Le linee della mano
Le linee della mano, Garzanti, Milano 1990
Enzo
Di Mauro,
in
"Poesia", Milano, febbraio 1991
"Addamo guarda il mondo come attraverso un vetro capace di rivelare
a se
stesso e agli altri tutta la
cupezza dolorosa e terribile che si nasconde nelle situazioni, nei caratteri, nei paesaggi, negli oggetti.
Lo sguardo di Addamo è spietato
nel volerci mostrare l'altro aspetto della luce che accarezza le cose e
accarezzandole le sfrangia, le picchietta, le screpola...'.
"Dopo il più programmatico Il giro della vite, la nuova raccolta
di poesie, Le
linee della mano, che raccoglie
testi composti tra il 1983 e il 1987, ci mostra più sentita necessità di abbandono a un'andatura più audace, più alta, più
precisata. E' una fedeltà senza remore al destino poetico.
Le resistenze si sono frantumate
dinanzi all'avventura, sempre piena di pericoli, ma anche per questo
esaltante, di rappresentare il proprio mondo agli altri".
'Si tratta di uno sguardo metafisico.
L'attenzione di Addamo si appunta, assai
modernamente, sugli oggetti, anzi sulla 'flora tranquilla degli oggetti,
sul mutamento che li trasforma...
Solo da qui, da questa acuta
percezione delle presenze che
popolano l'aria, che danno consistenza alla vita, si affaccia un cenno di lieve pietà per il 'transito' pieno di asperità che accomuna
gli uomini alle cose, un
transito che non sappiamo se 'appartenga'ai vivi o sia destino dei morti...'. "C'è nelle Linee della mano il disegno di una 'costellazione satura di tensioni per usare una espressione di Walter Benjamin, autore certo caro a Sebastiano Addamo, e la rappresentazione di una zona di chiaroscuro che assomiglia al momento del risveglio. Ma quel che più conta, con questo suo ultimo libro di versi, Addamo ci conduce in un luogo di definitivo nitore poetico, in uno spazio dove la lingua ha un respiro preziosissimo". |
|
|
sito realizzato da Paolino Ruggiero |