a Vera e Cetti |
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Mia figlia Vera con l'abito nuovo
Significati e parabole Da - Collettivo - Quaderni della Fenice quaderno n. 54 - Ugo Guanda Editore - Milano 1979 |
Mia figlia Cetti se ne va
Da - Le linee della mano (1983-1987) - PERSONE Garzanti - Milano 1990
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E' bello. La tua vanità è aquila rosa mentre volteggi la gonna non so come si chiama, ma è ruota azzurra code di pavone goccioli di cristallo entro la tua nuvola felice.
Ti guardo soltanto con la tua gioia momentanea procedere sulle svelte chiare rotaie del giorno assoluto; ti guardo. Ti guardo da entro l'oggettiva usura delle cose, del tempo, e sei invulnerabile la Storia che ti vive per ora non ti tocca; sento i tuoi passi per le scale, sei già orfana, e lo so che ti spaventi, lo che a rimuovere provi l'evento oscuro, lo so che vorresti coprirti gli occhi non sapere quel che già temi e sai, gaia mia figlia dal nomignolo un po' strano; lo so che non posso persuaderti ad accettare quanto nemmeno sono in grado di riconoscere, lo so che non posso aiutarti (stavolta non potrò davvero) sarai spaventata del mio spavento e vorrei io morire la tua morte, mentre nel domenicale giorno la signora di fronte alzata tardi respira intorpidita la luce che l'acceca e il signore distratto forse per notturne sclerotiche copule inciampa - e bestemmia - sulla merda del suo cane (ma sono i piccoli consueti gesti, questi atti, a restituire la purezza intatta delle cose); mentre da lontano ti guardo camminare la nuvola felice la ruota di pavone la coda di cristallo,
e senza stupore incontro davanti a te il lutto. |
Chiara lastra del silenzio. Il mattino rosso come un tropico. Tu li intrecci, li indossi, ti capovolgi, pur sempre è domenica al tuo orologio, chiudi la mano, ne fai un mazzo, strappi petali e panico, l'uscita è l'altra a noi nascosta faccia della vita, tu mieti papaveri taciturni come orfani neri leggeri come l'uccello schiantato dal freddo, tu li poni tra i capelli componi una ghirlanda, sei festosa, accendi le dita mentre con gaiezza luminosamente ridi, soltanto però il simile pareggia il simile e l'equivalenza è secca legge (l'inadeguatezza nega costanza all'essere), la luce perciò non colma abissi, nulla ripara la crepa, ti rotoli per terra, voli sulla brezza che scompiglia l'ulivo, smuove erbe e caligini, ma il tuo orologio segna domenica, chiara la lastra del mattino, rosso il silenzio di tropico. Non gli occhi ti guardano, non ci sono, bensì lo sguardo quando da noi, fermo, di corsa precipita e scava il fondo.
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