Addamo e la coscienza infelice della letteratura

 di  Salvo Fazio


 

Che si possa ricordare uno scrittore e poi un uomo è scarsamente nutritivo, in quanto lo scrittore è un mestiere difficile (come ci sottolineò Addamo in una sua lettera; in una breve corrispondenza privata) e l'uomo appartiene a se stesso che si muta continuamente, in rapporto agli odi e agli amori di cui è protagonista, che non sono altro ché quel simulacro dell' essere, concetto caro all' Addamo lettore di Heidegger. In ogni caso per personalizzare ancora di più il nostro incontro con Addamo diciamo che l'abbiamo conosciuto sulle pagine della rivista "Quaderni siciliani" mensile, del settembre 1973, stampata per iniziativa della Federazione regionale del P.C.I., che si avvaleva di collaboratori e redattori quali Pietro Barcellona, Veltroni, Nicolao Merker, lo storico Francesco Rende e, tra gli altri, Leonardo Sciascia. In questo numero in cui noi recensimmo i racconti di Sciascia Il mare colore del vino, un itinerario nel mondo siciliano della diversità temporale e geografica; in questo numero, dicevamo, apparve quel racconto che la rivista intitolò Catania e la guerra e che farà parte del più vasto romanzo Il giudizio della sera, edito in seguito da Garzanti, in cui Addamo scrittore ci rende immagine della Catania della guerra, dove non esisteva la fame alla maniera di Rabelais, viscerale e smaniosa, che produce singhiozzi di vomito, ma una fame non già dovuta alla ricchezza ma alla miseria.

E, qui, Addamo definisce la Catania del dopo, chiusa e circoscritta dal mare "sbocco e insieme limite", quasi a voler prefigurare una sorta di avamposto di una civiltà contaminata dal mare, il mare Mediterraneo, il mare occidentale per eccellenza. Ma una fisica malattia deturpa la città, "…le chiazze d'urina erano in ogni dove…  ebbero i marmi e i lampioni corredati da queste macchie sontuose e unte che sempre più si allargavano e ispessivano", fino a insozzare i suoli pubblici e privati.Senza dubbio Addamo ha presente il Camus della peste a Orano, essendo buon lettore di letteratura francese; e non è dubbio che la guerra per i catanesi, e non solo, rappresentò la peste, cioè la diffusione di un morbo, così come aveva parlato di morale del fascismo.Insomma, il crollo alla fame la sintomatologia di una forma dantesca della società civile, in cui entravano pure le parole all'orecchio di Brancati e le vicissitudini della sua Nàtaca, freudiana translitterazione di Catania. Ma la Catania di Addamo è più cruda di quella di Brancati: Brancati è un moralista ante litteram, che teme la censura, Addamo penetra nei cunicoli e nelle catacombe di piazza Stesicoro e vi trova i resti di una civiltà passata. Non dimentichiamo che Addamo è stato anche un poeta, un poeta che percorre le linee della mano, per dirla con un suo libro di poesie, sempre edito da Garzanti. Linee che si biforcano e si divaricano secondo una pirandelliana ascendenza di forme che rasentano la natura opalescente della metafora quale si aggiunge al nostro incominciamento per citare Bonaviri, fin dalla nascita, fin dal primo vagito che diviene grido, assurda bellezza della parola. Solo con la parola, col grido serrato fra i denti, come ci ha insegnato Addamo, possiamo raggiungere il silenzio, lo stupore di una fenomenologia che ci sorprende per il suo intrigo di ossessioni, parvenze di una simbiosi fra la "natura" dei greci e la dispersiva umanità dell'uomo  dovuta all'alienazione.

Ne La Metafora dietro a noi, edita nel 1980 da Spirali, Addamo sembra avvalersi del Viaggio, dal momento che "la menzogna è aleatoria e minacciosa. …Non andare in, nessun posto di preciso è l'unico mezzo per arrivare da qualche parte". E, in questo caso, solo la poesia ci sollecita e ci spinge a decifrare l'utopia, quella dei Campanella, di Tommaso Moro, di coloro che hanno edificato la città del sole, nel far sì che la poesia non è "Viaggiare non è ritrovarsi; è inventare". A testimonianza, questo pensiero di Addamo a reinventare l'uomo, l'uomo nato con la poesia. Scrive, infatti, Addamo ne La Metafora dietro a noi: "L'uomo è il luogo più lontano. La poesia qualche volta riesce a raggiungerlo Ma se ne dimentica spesso". A conferma del fatto, se ce ne fosse bisogno, che il nichilismo di Addamo è qualcosa che va oltre la filosofia di Nietzsche ma se ne supporta per affrontare quella che Heidegger definiva, nei Seminari di Zollikon la cura, cioè farsi carico dell' esistenza dell'individuo, corpo e mente, anatomia e metafora.

Quando nel 1984 fondammo la rivista "Passaporto", della letteratura ed altro, il primo scrittore a cui ci siamo rivolti è stato Sebastiano Addamo, il quale in quelle cinque risposte volle intendere la scrittura come fatica, segno indelebile di ciò che si nutre non solo di parole ma di sogni, il sogno principale dell'uomo d'essere immortale spiegazione di qualcosa che va oltre le cellule; Non basta la mano per scrivere, secondo quanto apprendiamo da Addamo, ma occorre un chiaro scuro che faccia meditare; e Addamo è stato uno scrittore completo che ci ha fatto riflettere, in questo universo senza fondali.  Lo ricordiamo a motivo di ciò, con un fondo cupo di malinconia trattenuta dagli spessi occhiali, quando lo abbiamo incontrato alle manifestazioni della libreria "La Cultura" di Catania, alla presentazione di qualche libro o quando andavamo a trovarlo in casa sua, per noi oracolo vivente di quelle seducenti collaborazioni a "Nuovi Argomenti" o le scudisciate pubblicate da "La Sicilia" di Catania. In tutte queste cose insieme c'era la poesia che la poesia evochi, suscitando visioni più o meno forzate, rispetto alla genealogia d'una morale collettiva, è indubbio, poiché lo strumento principale di cui si serve è la parola. Essa presuppone in sé il grecizzante gusto della comunicazione che un tempo fu appannaggio assoluto e demoniaco della poesia cosiddetta civile; l'atroce sibillina danza in cui la storia rendeva la sua parte di despotismo celebrando i fasti del poeta che adoperava la parola come l'incudine del fabbro. Diventando, per dirla con Nietzsche, un malfattore che meritava "rarissimamente la grazia o l'assoluzione", in quanto il significato della poesia quale processo comunicativo (che Addamo ha sempre perseguito) si contrabbandava e identificava col suo valore assoluto, mentre, al contrario, esisteva ed esiste il ritardo e la diversità, rispetto alla geografia della poesia stessa lungo l'arco della penisola.   E' questo il tono d'un intervento svolto, rispondendo a Pasolini, da Sebastiano nel1uglio - dicembre del 1971 sulla rivista "Nuovi Argomenti", dove Addamo cancellava lo storicismo più deteriore che imponeva una certa visione che maciulla la poesia come dubbio, espressionismo dello spirito, qualificando l' assioma che non sempre la parola trasforma nell' atto di comunicare. Addamo in quel suo scritto, sottolineava la diversitàd'una proposizione dell' essere poeti in una Sicilia "afosa, calda, lun1Ìnosa, ma dove la troppa luce - abbacina, stordisce, macera…", determinando la curva precipitosa che vorrebbe alleviare lo scetticismo del poeta col ritardo della provincia.

È vero, invece, che un poeta come Sebastiano Addamo pietrifica il nichilismo della filosofia contemporanea re inventando le ragioni profonde della poesia stessa, non solo come condizione dell'inesistente provincia, . ma cogliendo le radici sacrali che prospettano la poesia oggi. Si spiega, su questo versante la poesia di Addamo, che mescola l' istanza della pregnante idea de libro di poesia, col frastuono che innalza un silenzio strumentale attorno al pubblico della poesia, ben raro in questi tempi apocalittici, in cui, come scrive Addamo, "tutto è prodotto e tutto è affare di mercato", per cui viene meno quella motivata diversità che Addamo rivestiva di profondissimo motivo di differenziazione, in quanto ragione della specificità della poesia stessa in ambito geografico siciliano, e non solo. Già in quella querelle con Pasolini, Addamo ricomponeva un tessuto poetico che s'incarnava e andava oltre il manierismo d'un modo di fare poesia vincolata a una prerogativa esclusivamente realistica, che fu anche l'equivoco del neorealismo in letteratura: Il suo rifiuto del narcisismo diventava palese quando, citando l'Ulisse di Joyce ("La storia è un incubo dal quale cerco di destarmi"), ridisegnava il limite di poesia e storia, ritardo culturale e criteri valutativi: "Sono qui in Sicilia, un luogo appena lambito dalla storia, scorgo una vita tetra, volti tetri, e tetre violenze, tetre escatologie: la storia era semmai un valore ancora da guadagnare non da perder((". Già covato a lungo in Addamo l'appello a una giustificazione neoilluministica, che facesse piazza pulita degli equivoci di false profezie, che già Walter Benjamin aveva indagato nel volume sulla riproducibilità dell' opera d'arte nell' epoca della tecnica. A questo punto ci chiediamo se sia giustificato il silenzio di cui parla Addamo o, meglio ancora, il furore d'una poesia che sia corpo della storia e innalzi un profondo steccato tra la poesia e la verità da un lato, e la quotidiana rappresentazione del banale di oggi. Tutto ciò che aspira alla tensione dialettica nella poesia nel suo farsi metafisico e costituzionale, andando oltre gli orientamenti d'un mercato che rappresenta il libro e non il senso che esso dà a ogni comunicazione linguistica che sia grumo di conoscenza, è presente in uno dei suoi ultimi libri Alternative di memoria. Ciò che vuole rendere conto di un lascito che spolpi la persistente poesia, intesa quale canto celebrativo già presente nel La metafora dietro a noi; che variegava il tema dell'aforisma poetico rimeditato secondo una filosofia che ricomponeva le fratture tra l'io e il mondo.

Calzava e collimava ogni parola con una memoria biblica intessuta di ragione e tetra verità che si mimetizza dietro l'apparente inganno dei sensi, secondo quanto ci ha insegnato la filosofia lockiana. Ma il senso materialistico basta a rendere ragione della diversità nel fare poesia in un' epoca. dominata dalla tecnologia? O la percezione del mondo circostante muta parallelamente al procedere della relazione fattuale tra io e reale, fra inconscio e storia? Noi crediamo che Alternativa di memoria riconduceva  a un passaggio fondamentale di ogni metafisica che possa crescere in una duplicante necessità di costruirsi quale poesia d'un espressionismo dell'individuo, che non è altri che l'essere nel suo crescere e svilupparsi; ecco perché lo stesso Addamo parla di perdita della poesia come mancanza della sua fondata aspirazione in un' epoca come la nostra. Allora la poesia diventa una scommessa e un rischio nell' epoca della riproducibilità e un ritorno all'essere è la sola legge che s'impone come la profezia del futuro, capace di legare insieme "disperazione" della parola e impotenza dell'uomo a duplicare se stesso e le ragioni della sua vita, una vita empirica, dove i sensi comandano e la ragione obbedisce alle leggi dell'empiria. Già Valéry aveva affermato che "Ciò che ha fatto speculare tanto sul sogno e sul reale - fino a negare la loro differenza - reale - (teoricamente), è il valore illusorio conferito alla nozione di reale".

E, ancora, nei quaderni, si chiarisce ciò che è presente nella poesia di Sebastiano Addamo, "la nozione di essere e esistenza assoluta, indipendente da ogni osservazione, e persino incompatibile con esse". L'esistenza si risveglia, dunque, nella poesia di Addamo e miete numerose vittime, primo fra tutti il poeta inteso come cantore, portavoce, di qualcosa di cui non ha nozione e che stenta a riconoscere, mentre la limpidezza sta neiversi di Addamo che esprimono la possibile ambivalenza di essere e cosmo, di reale e immaginario:”

Sono tuoi i gesti che domandano

il punto e la retta qualcosa li

Identifica, la certezza del sangue

o uni cosmo, un cardine tenace

ma la vena batte alla tempia

dà vomito e rancore

neppure la morte salva e nel pieno

del mondo tutto è solo assenza

la precisa parola mai resa all’essere”

 

Questa è la geometria euc1idea che s'imbatte come in un crocevia sensitivo che sfiora e batte la vena, al cui turgido ingemmarsi di vita resta solo l' assenza, un' assenza precipua che non è quantificabile perché J' essere non è quantità, ma ispirazione profonda del gioco interiore che sprigiona l' essenza di ciò che si vuole conoscere, dunque anche il cosmo, la vita nella sua terribile necessità ul110rale che restituisce tutto ciò che è sacrale, anche la morte, che per Sebastiano Addamo diviene la zia canuta, come un margine di cui non si può fare a meno.

Così egli scrive:

  Sta venendo.

La mia scortese morte sta venendo

(ali lucide e sghembe di sparviero

trapassato dai roveti per crinali sgomenti

appena visitati da fantasmi)

non la (nicciana) morte che voglio

ma l'altra oscura assorta morte che viene,

sarà qui a momenti, a giorni, mia zia

dal capo forforoso e canuto e l'occhio

vitreo,

È, infine, il rendiconto di pensieri che trasudano di carte e vita, di gallerie individualizzate, anteriorizzando la memoria e i ritratti di una scommessa con la cultura poetica e non, che annovera ritratti "milanesi" solo per circostanza fortuita e che Addamo infila come in un caleidoscopio che circoscrive "la lunga catèna del non detto" di Franco Fortini, il "baratro scombinato d'un pianerottolo senza più uscita", col pensiero a Kafka, o, diventato viandante, con Bartolo Cattafi, "cerco puttane larghe villosità d'osceno". Alla fine si ripropone un interrogativo? È ancora tempo di poesia il nostro?


 

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